COLTIVARE IL GIARDINO DELLA MENTE

“Ognuno di noi ha molti tipi di “semi” che giacciono nel profondo della propria coscienza. I semi che innaffiamo sono quelli che germogliano, emergono nella nostra consapevolezza e si manifestano all’esterno.
Nella nostra coscienza c’è sia l’inferno sia il paradiso. Siamo capaci di essere compassionevoli, comprensivi e gioiosi. Se prestiamo attenzione solo alle cose negative in noi, soprattutto alle sofferenze del passato, ci crogioliamo nelle nostre pene e non riceviamo alcun nutrimento positivo. Possiamo praticare un’attenzione appropriata, possiamo innaffiare le qualità salutari in noi entrando in contatto con gli aspetti positivi che sono sempre disponibili, dentro e intorno a noi. Questo è un buon cibo per la nostra mente.
Un modo per prendersi cura della propria sofferenza è invitare un seme di natura opposta a spuntare. Poiché nulla esiste senza il suo opposto, se avete un seme di arroganza, avete anche un seme di compassione. Ognuno di noi ha un seme di compassione. Se praticate ogni giorno la consapevolezza della compassione, il seme della compassione in voi diventerà forte. Basta concentrarsi su di esso e si manifesterà come una potente fonte di energia.
Quando la compassione emerge, l’arroganza diminuisce in modo naturale. Non è necessario combatterla o respingerla. Possiamo innaffiare selettivamente i buoni semi ed evitare di innaffiare i semi negativi. Questo non significa che ignoriamo la nostra sofferenza, ma solo che permettiamo ai semi positivi, che sono presenti in noi in modo naturale, di ricevere attenzione e nutrimento”.
(tratto da Thich Nhat Hanh, “Trasformare la sofferenza“, Terra Nuova Edizioni 2014)
Per approfondire (in inglese): https://youtu.be/_KsQsmzm-ys
(immagine tratta dalla copertina di: Thich Nhat Hanh “Semi di felicità”, Terra Nuova Edizioni 2012)
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L’ALBERO NELLA TEMPESTA
“Molti di noi non sanno come gestire le emozioni forti. Le nostre percezioni erronee possono farci arrabbiare o riempirci di disperazione. Per vedere con chiarezza, dobbiamo anzitutto calmarci. Quando siamo sopraffatti da emozioni forti, siamo come un albero durante una tempesta, con i rami e le foglie che ondeggiano al vento. Ma il tronco dell’albero è solido, stabile e profondamente radicato nella terra. Quando siamo presi da una tempesta di emozioni, possiamo esercitarci a essere come il tronco dell’albero. Non restiamo sui rami alti, scendiamo verso il tronco e restiamo fermi, senza farci trascinare via dai nostri pensieri e dalle emozioni. Non diciamo o facciamo nulla, ma concentriamo tutta la nostra attenzione sul sollevarsi e l’abbassarsi dell’addome, del tronco. Questo ci protegge dal parlare con rabbia e dal dire qualcosa di cui potremmo pentirci“. (Thich Nhat Hanh)
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LA NUDITÀ DEL SENTIRE

“Quante volte ho visto usare la meditazione per non sentire, per creare una personalità spirituale che ci ripari dal mondo, dai conflitti, dai desideri, dalla rabbia, dalla paura, dal piacere. Quante volte si parla di osservare le sensazioni, le emozioni, i pensieri perché si sta cercando in realtà di creare una scissione, un non sentire, un tenere a distanza la vita stessa.
Mentre si tratta di entrare in tale intimità con il sentire stesso, con il flusso vitale, da non lasciare spazio alcuno nemmeno all’io, a quel costante sentirsi colpiti in prima persona, «Perché a me, proprio a me?», che è l’autoriferimento sempre in agguato. Si tratta di interrompere l’autonarrazione, la seconda freccia, che descrive, aggiunge commenti, cronache in diretta o in differita, personaggi, personalità, film e storie. E stare invece con la nudità del sentire, lasciarsi fare e disfare dal sentire che non ci è nemico, è tutt’uno con l’essere al mondo, con il ricevere l’impatto sensoriale con il mondo.
Certo, si tratta di una pratica graduale, e occorre creare inizialmente un nido, un luogo in cui tornare, il respiro, il corpo, le sensazioni, la coscienza ben radicata nell’organismo, un luogo a cui poter fare costante ritorno. Come gli uccelli che iniziano a volare, non si allontanano mai troppo dal nido, da principio. Poi, scoprono che ci sono tanti appoggi, piccoli nidi provvisori, stazioni di sosta: rami, tetti, muri, sporgenze. Allora si va, più liberamente, più sicuri, perché il ritorno è sempre più frequente e a portata di mano, perché si impara a tornare a sé sempre e ovunque, perché non c’è più un’unica postura per farlo, ma piuttosto un atteggiamento di diffusa fiducia nel percorso“.
(Tratto da Chandra Livia Candiani. “Il silenzio è cosa viva”)
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PRENDERSI CURA DELLA RABBIA
Care amiche, cari amici, condividiamo oggi un breve video di Thich Nhat Hanh, che risponde alla domanda di una bambina su come prendersi cura della rabbia. Questo un breve estratto del testo della risposta:
“A Plum Village impariamo a gestire la nostra rabbia, a prendercene cura. La rabbia non è qualcosa di piacevole, è come il fango, ma senza fango non possiamo far crescere fiori di loto. Se sai come fare buon uso della rabbia, puoi far crescere in te il loto della pace, della gioia, del perdono.
La rabbia viene “su” – non dall’esterno, ma dall’interno – perché non comprendiamo e quindi non riusciamo ad amare. Se osserviamo attentamente, se ascoltiamo attentamente saremo in grado di capire. Quando riusciamo a capire sorge l’amore, e quando c’è amore, la rabbia si trasforma. Quindi non devi liberarti della rabbia: se custodisci quella rabbia nella comprensione, nella compassione, allora la rabbia diventa qualcosa simile all’amore, alla compassione”.
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UNA PARTECIPAZIONE STUPITA

“Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.
Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.
Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.
Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
oppure (e qui un paragone che mi è mancato).
Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.
Su un tavolo più giovane, da una mano d’un giorno più giovane,
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.
La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.
È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.
Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.”
(“Disattenzione” di Wislawa Szymborska (nell’immagine iniziale), poesia tratta da “La gioia di scrivere”, Adelphi 2009)